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Temperature bollenti, città siciliane senza alberi soffocate dal cemento

Temperature bollenti, città siciliane senza alberi soffocate dal cemento

Temperature bollenti, città siciliane senza alberi soffocate dal cemento

ROMA - Il consumo di suolo e la conseguente penuria di alberi sono tra i principali responsabili dei cambiamenti climatici, in particolare dell’aumento delle temperature soprattutto durante la stagione estiva.

In Sicilia, lo scorso anno, è stata registrato il record di afa con il termometro che ha raggiunto la vetta bollente dei 44° C ad Augusta, in provincia di Siracusa. In generale, il 2019 è stato l’anno più caldo di sempre nell’Isola, dove i pochi spazi “verdi” vengono ridotti in cenere dagli incendi (altro versante in cui la nostra regione non ha “rivali” nel Paese).

La devastazione della vegetazione ha conseguenti pesanti sull’ambiente, in quanto - rivelano i ricercatori dell’Istituto per la bioeconomia del Cnr-Ibe di Firenze in collaborazione con quelli dell’Ispra - “influenza la composizione del paesaggio urbano, modificando anche il microclima e favorendo un fenomeno tipicamente urbano noto come isola di calore urbana: con questa definizione si intendono le zone centrali delle città sensibilmente più calde delle aree limitrofe o rurali”. E' questo il risultato di uno studio sull’influenza della copertura arborea e del consumo di suolo sulle temperature superficiali urbane, pubblicato recentemente su Science of the Total Environment.

L’indagine è stata condotta “sul periodo diurno estivo, analizzando per la prima volta l’influenza della copertura arborea e del consumo di suolo nel favorire l’isola di calore urbana superficiale nelle 10 città metropolitane dell’Italia peninsulare”, spiega Marco Morabito del Cnr-Ibe e coordinatore del lavoro.

La ricerca ha preso in considerazione la città composta dal suo nucleo metropolitano, rappresentato dal comune principale, dai comuni confinanti e da quelli periferici; sono stati esaminati inoltre la quota, la distanza dal mare e la dimensione della città. “Sono stati utilizzati dati satellitari di temperatura superficiale, riferiti al periodo diurno estivo dal 2016 al 2018, mentre utilizzando i dati ad alta risoluzione sviluppati da Ispra è stato possibile comprendere l’influenza del consumo di suolo e della copertura arborea”, aggiunge Michele Munafò dell’Ispra.

Dall’integrazione di queste informazioni, i ricercatori hanno prodotto un nuovo strumento informativo chiamato “Urban Surface Landscape layer”, un indicatore di copertura superficiale del paesaggio urbano capace di rappresentare le zone delle città caratterizzate da differenti combinazioni di densità di consumo di suolo e copertura arborea, e in grado di individuare aree critiche urbane, con elevate temperature superficiali, che necessitano di azioni di mitigazione e in di una intensificazione della copertura arborea.

“Lo studio dimostra che l’intensità dell’isola di calore urbana superficiale aumenta soprattutto all’aumentare dell’estensione delle aree con bassa densità di copertura arborea nel nucleo metropolitano, oppure intensificando la copertura artificiale dovuta a edifici e infrastrutture”, conclude Morabito.

Le isole di calore più intense sono state osservate nelle città dell’entroterra e di maggiori dimensioni: a Torino, un aumento del 10% nel nucleo centrale di aree con elevato consumo di suolo e bassa copertura arborea è associato a un aumento dell’intensità dell’isola di calore media estiva di 4 °C. In generale quanto più grandi e compatte sono le città, tanto maggiore è l’intensità del fenomeno isola di calore. Quest’ultimo, invece, è risultato spesso meno intenso e poco evidente nelle città costiere a causa soprattutto dell’effetto mitigante del mare”.

Il cemento, dunque, non sottrae soltanto porzioni di territorio, ma comporta tutta una serie di danni collaterali all’ambiente: dal mancato stoccaggio e sequestro del carbonio alla perdita di qualità negli habitat, dalla regolazione del microclima fino alla rimozione dei veleni dell’aria, come particolato e ozono.

Nonostante sia evidente a tutti, la cementificazione nell’Isola non si è mai arrestata, tanto che negli ultimi anni la percentuale di territorio “impermeabilizzato” è cresciuta: +0,16% tra 2017 e 2018 secondo l’ultimo aggiornamento Ispra. Una percentuale apparentemente piccola ma che significa 300 ettari di territorio in meno in un anno, una superficie grande quasi quanto il Parco della Favorita a Palermo o quanto 50 volte la Villa Bellini di Catania. A livello nazionale si parla di 2 mq “sbranati” ogni secondo. Nonostante la Sicilia sia in linea rispetto alla media nazionale, la crescita del consumo di suolo appare eccessiva se parametrata al Pil regionale e al numero di lavoratori. Un’analisi di Arpa Sicilia ha evidenziato che l’indice di suolo consumato (ettaro/mln di euro di pil) vale 2,12 in Sicilia, 1,34 in Italia, mentre il dato relativo al rapporto con gli addetti nelle costruzioni (ettari/addetto alle costruzioni) vale 1,12 contro lo 0,43 del dato nazionale.

Dall’altra parte, la crescita del verde urbano non riesce a tenere il passo del cemento. Come abbiamo scritto in un’inchiesta dello scorso 1 febbraio, all’Isola mancano quasi 1,4 milioni di arbusti. Sono quelli che avrebbero dovuto essere piantati nelle aree urbane dell’Isola se i nostri Comuni avessero rispettato una legge, la cosiddetta Legge Rutelli, risalente al 1992 e implementata nel 2013, che obbliga gli Enti locali a piantare un albero per ogni bambino nato.

Oggi, le classifiche Istat (contenute nel rapporto Ecosistema urbano) vedono le città siciliane agli ultimi posti per verde fruibile in centro città. Se a Matera i cittadini possono godere di 990 mq di verde per abitante, a Trento 339 mq, a Sondrio 316, i siciliani possono aspirare al massimo ai 79 mq di Agrigento. Le punte più basse a Caltanissetta (4,5), Trapani (5,5), Siracusa (7,5) ed Enna (7,8).

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