Rischio povertà, Busetta, “Ripartire da turismo e Zes”
La Sicilia e la Campania sono le regioni europee che registrano il più alto tasso di rischio povertà di tutto il vecchio continente. I dati Eurostat, che si riferiscono al 2019 (periodo pre Covid), evidenziano il contesto allarmante dell’isola: gli individui che hanno un reddito disponibile inferiore al 50% di quello mediano nazionale dopo i trasferimenti sociali sono, in Sicilia, il 41,4% della popolazione (era il 40,7% nel 2018), seguita dalla Campania con il 41,2%, in calo sul 2018.
Guardando ai soggetti a rischio di esclusione sociale - che comprende chi vive in famiglie a bassa intensità di lavoro e chi ha problemi di deprivazione materiale - per la Sicilia la percentuale sale al 48,7% a fronte del 49,7% della Campania, dato record nell’Unione. In Ue la media per il rischio di povertà ed esclusione sociale è del 21,4%. E’ evidente, dunque, che il dato regionale italiano risente delle ampie differenze territoriali di reddito nel nostro Paese. In tal senso, come evidenziano i dati, le regioni del nord Italia hanno generalmente un tasso che si aggira al 14%: la Valle d’Aosta e il Veneto, in particolare, rispettivamente all’8,1% e all’11,1% registrano le migliori percentuali di rischio povertà o esclusione sociale.
Un quadro piuttosto allarmante che preoccupa gli esperti, come l’economista Pietro Busetta – presidente dell’Istituto Esperti per lo studio del Territorio (ISESST) di Palermo - che ai microfoni di Qds.it ha affrontato il tema indagandone gli aspetti più specifici e fondativi.
Professor Busetta, i dati Eurostat ripropongono quella “Questione Meridionale” tanto cara a Gaetano Salvemini. Come leggere questo profondo divario tra nord e sud?
“Questi dati non mi stupiscono, tuttavia vanno compresi e contestualizzati: in Sicilia vivono circa 5 milioni di abitanti, e meno di un milione e mezzo ha un lavoro (anti-covid). Ciò significa che lavora solo 1/4, a dispetto del Veneto che vanta un occupato ogni due persone.
Per raggiungere quei numeri avremmo bisogno di una cifra da capogiro: 900.000 posti di lavoro.
In Sicilia, in media, le famiglie contano solo su uno stipendio e quando non c’è la povertà è immediatamente acquisita. Questi dati allarmanti andrebbero sottoposti al governo regionale, che intanto continua ad operare in un clima di neutralità…”
Come progettare e pianificare una ripresa futura?
“Innanzitutto dovremmo rivolgere lo sguardo ai patterns europei come Irlanda, Polonia e Ungheria, che hanno affrontato problemi analoghi ai nostri. Questi Paesi hanno investito nel settore manifatturiero esterno, attraendo nuovi investitori esteri. In questo senso, le ZES, le Zone Economiche Speciali – come parchi industriali, zone di impresa urbana, zone di libero scambio ecc. [n.d.r.] - rappresentano un volano di crescita per il nostro Paese. Le ZES stanno partendo anche nel Mezzogiorno, seppur in Sicilia stentino a decollare”.
E se dovesse tracciare lei una direzione, in quale settore investirebbe? “Personalmente darei peso maggiore all’industria turistica, garantendo facilitazioni amministrative e sulle imposte, guardando a quei luoghi d’insediamento delle grandi catene internazionali.
Inoltre occorrerebbe sfruttare la posizione logistica del Mediterraneo: pensiamo (all’inquinato) porto di Augusta, concesso proprio ieri dall’Italia alla Ocean Viking – a bordo 422 migranti, di cui 8 col Covid [n.d.r.] - per l’approdo. Non sarebbe meglio sfruttarne appieno le potenzialità?
Pensiamo alle navi cargo che da Suez sbarcano a Rotterdam, quando invece potrebbero farlo in Sicilia: ma per questo occorrerebbe un filo diretto Augusta-Salerno (da qui partono i treni ad alta velocità), che porti fin su a Berlino”.
Gioacchino Lepre
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