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I dolori del giovane Fausto: l'autoreferenzialità della politica siciliana

I dolori del giovane Fausto: l'autoreferenzialità della politica siciliana

I dolori del giovane Fausto: l’autoreferenzialità della politica siciliana

La crisi della Sicilia, è innegabile quanto scontato dirlo, è soprattutto la crisi di una classe dirigente. In un sostrato sostanzialmente più fragile di tanti altri (depressione economica, criminalità organizzata, etc) l’impatto è stato ancora più devastante che in altre regioni d’Europa, tant’è che (come noto ormai quasi a tutti) l’Isola si trova in coda a tutte o quasi le classifiche.

E qui subentrano le responsabilità della classe dirigente che in questi anni non ha saputo prendere in mano la soluzione per risollevare la Sicilia dal baratro. Classe dirigente che è ben rappresentata dalla classe politica isolana, il cui simbolo per eccellenza non può che essere il Pd, il partito più grosso e quello che, dal 2012 ufficialmente (ma virtualmente da molto prima, vedi l’alleanza con Lombardo) governa alla Regione.

Il Partito democratico è rappresentato in Sicilia dal suo giovane segretario Fausto Raciti che a mio parere incarna, ancora più di Crocetta, le contraddizioni di una politica che guarda al dito anziché alla luna, parlando solo a sé stessa.

Raciti, 32 anni, nonostante la giovane età è di fatto un veterano della politica. Cresciuto nei Ds sotto l’ala dell’allora leader maximo D’Alema, è passato indenne dalla rivoluzione veltroniana tant’è che ha vestito i simbolici panni del cambiamento: è stato l’ultimo segretario della Sinistra Giovanile e il primo dei Giovani Democratici. Ciò non bastasse, caduta l’utopia del fondatore del Pd si è subito aggregato all’oltranzista Bersani tanto da venire eletto alla Camera nel listino bloccato dell’allora segretario.

La Sicilia l’ha lasciata di fatto nel 2007, quando fu eletto segretario della Sinistra Giovanile, ma ci è ritornato sette anni dopo, quando, nel febbraio del 2014 è stato scelto come numero 1 del partito. Una patata bollente che il giovane Fausto ha preso in mano con la delicatezza del navigato chef. Va ricordato che a livello nazionale eravamo in piena Renzi revolution e lui fu eletto a rappresentare gli ex “giovani turchi” che in Sicilia erano ancora in maggioranza. Sin dall’inizio ha contestato Crocetta, ha fatto i conti con le paturnie di Cracolici, con i diktat di Faraone e le uscite di Cardinale. Ed è stato, con il vicerè renziano, il regista occulto dell’ultimo governo Crocetta che ha messo tutti d’accordo nel partito, dopo che in un primo momento (sarà stata una svista?) all’epoca del primo rimpasto la corrente di Raciti era rimasta fuori minacciando la fuoriuscita del partito dalla maggioranza.

Com’è finita lo ricordiamo tutti: Crocetta ancora in sella, Cracolici, Gucciardi e Marziano assessori. Che i risultati di questa Giunta siano eufemisticamente deludenti è un dettaglio per la politica, il Pd e Raciti stesso. Che Faraone nel corso della cosiddetta “Leopolda Sicula” (Siciliaduepuntozero) abbia considerato l’eventuale ricandidatura di Crocetta una roba da Tso (nonostante i recentissimi proclami dell’attuale presidente) è un altro dettaglio. Così come lo è la spaccatura del Pd siciliano sul referendum con i due fronti del Sì (Raciti stesso, l’ex impresentabile Crisafulli, Crocetta e Cracolici) e del No (i due deputati Ars Mariella Maggio, già assessore, e Pino Apprendi, l’attuale assessore Marziano, l’ex presidente della Regione e ora deputato alla Camera Angelo Capodicasa).

Curioso è infine che Raciti sia l’autore di un saggio controverso, “L’imbroglio della meritocrazia” uscito nel 2013 con la casa editrice Eir che, prendendo spunto dalle tesi del sociologo inglese Michael Young, descrive l’impianto meritocratico come una pericolosa distopia che consegna il potere nelle mani di una élite oligarchica. Ovviamente niente a che vedere con quello che accade in Sicilia o nel Pd, dove l’accesso alle istituzioni non è negato a nessuno. A me pare una contraddizione in termini, ma posso prendere in considerazione l’idea di avere frainteso o essermi sbagliato.

Ma se Atene piange, Sparta non ride. Basta vedere cosa è accaduto nell’Udc siciliano, dove il gruppo all’Ars è scomparso (sostituito dalla nuova formazione “Centristi per il Sì”) in seguito alle spaccature pesanti con la segretaria nazionale riguardo la posizione sul referendum costituzionale. E ancora nel M5s, dove il caso delle cosiddette firme false ha generato un vero e proprio impasse (per non dire altro), mentre il centrodestra, dove Musumeci ragiona da leader ignorato da Miccichè e altri sodali, è in preda a una vera e propria crisi d’identità.

In conclusione mi sento di citare lo storico Gaetano Salvemini secondo cui la classe politica italiana (e meridionale) è formata per il 10% da gente migliore di quella che l’ha eletta, per il 10 peggiore e per l’80 identica. Ai siciliani tocca il compito di smentirlo.

Luca Mangogna

Twitter: @LucaMangogna

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